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Dopo una breve assenza eccomi di nuovo qui. Con una nuova sfida per le nostre uova senza tegame.
Questa volta vorrei cercare di capire e condividere con voi cosa sta succedendo nel mondo dell’industria delle biotecnologie alimentari.
Il prossimo 6 novembre in California oltre alle consultazioni presidenziali i cittadini saranno chiamati ad esprimersi per un referendum (che gli Americani chiamano Proposition) che ha come oggetto l’obbligo di informazione ed etichettatura per i prodotti derivati da e/o contenenti Organismi Geneticamente Modificati.
E poiché viviamo in un’economia globale le decisioni prese oltre oceano, che pure ci possono sembrare echi lontani, come i cerchi nell’acqua provocati da un sasso in caduta si propagheranno più o meno velocemente per giungere fino a noi. Allora è meglio cercare di capire.
La Proposition 37 – questo il nome di questo referendum – non chiede ai cittadini di decidere se gli OGM debbano o meno essere prodotti. Si tratta del diritto dei consumatori alla trasparenza. Il diritto di sapere se, nel cibo che stanno acquistando, ci siano ingredienti geneticamente modificati. La stessa proposition vieterebbe anche che per la definizione di tali prodotti si usino parole come “naturale”. Diritto all’informazione, di questo si tratta.
La società americana, come la nostra del resto, si basa sul “libero mercato”. E che ne è del “libero consumatore”? Come può un consumatore essere veramente libero di scegliere e se non viene garantito il suo diritto di sapere cosa c’è dentro il cibo che può comprare?
Come dice Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in un editoriale apparso una decina di giorni fa su La Repubblica “È una battaglia di civiltà che non lede la libertà di mangiare Ogm, semplicemente chiede la trasparenza” .
Trasparenza che in questo caso riguarda anche le voci nel dibattito pre-referendario. E qui le cose diventano un po’ più complicate.
Ovvio e trasparente è lo schieramento che si legge sul sito dell’organizzazione che rappresenta la Food and Beverage Industry: sono contrari perché vedono nell’etichettatura l’apposizione di uno stigma negativo sui prodotti contenti OGM. In parole povere temono che i consumatori non comprerebbero prodotti contenenti questi ingredienti.
(E allora? Che ne è del libero mercato? Non c’era una legge della domanda e dell’offerta? Ammettiamo che questo possa essere il responso dei consumatori, ma allora non dovrebbe essere l’industria ad adeguarsi e produrre ciò che il “libero mercato” chiede?)
Monsanto, il gigante della produzione OGM, ha investito milioni di dollari in propaganda contro il referendum. Uno sforzo che non potrà mai essere uguagliato dalla società civile promotrice della Proposition 37. Uno sforzo che tuttavia sembra a suo modo logico, “trasparente” visto gli interessi che Monsanto ha in gioco.
Meno trasparenti sono le posizioni espresse contro la Proposition da parte di sedicenti “indipendenti” professori dell’Università di Davis in California, che guarda caso ha tra i suoi finanziatori proprio Monsanto.
Ma questa purtroppo non è una novità, già nel 2011, Margarida Silva, dell’ Università Cattolica di Porto aveva pubblicato un rapporto sugli scienziati favorevoli agli OGM e la loro affiliazione con la industria della biotech.
Trasparenza, dove sei?
Forse dovremmo anche aggiungere che alcuni produttori americani di biologico si sono schierati contro il referendum. Strano? Meno di quanto si pensi, perché si tratta di imprese che sono il risultato degli investimenti nel biologico di grandi gruppi multinazionali.
La diversificazione del business di gruppi come Nestle’ è comunque marginale rispetto alle altre aree strategiche in cui operano, ma viene abilmente usata per raggiungere un pubblico che è potenzialmente più sensibile alla presenza di OGM nel proprio cibo.
E mentre i tempi stringono e il referendum si avvicina, sono entrati nel dibattito anche un paio di ricerche pubblicate nell’ultimo mese: uno studio di un gruppo di ricercatori francesi sull’incidenza di tumori in topi nutriti con mais geneticamente modificato che pone delle riserve sulla presunta mancanza di rischi legati al consumo di OGM, e un altro pubblicato negli Stati Uniti e relativo al consumo di pesticidi presso i coltivatori di OGM, consumo che è aumentato vertiginosamente.
La realtà è che questi organismi non solo non sono immuni dagli attacchi degli insetti, come inizialmente stimato dai loro produttori, ma hanno necessitato un uso intensivo di pesticidi. Questo si è tradotto in insetti e di infestanti che si dimostrano resistenti a queste pericolose sostanze chimiche.
Certo per la Monsanto – che produce sia i pesticidi che il mais OGM - in un modo o nell’altro ci saranno dei profitti: questo è chiaro e trasparente.
Allora, che dite, avranno diritto i consumatori a sapere cosa c’è in quello che comprano?
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